Nel 2014 la quota di rinnovabili nel consumo totale europeo di energia è cresciuta di quasi un punto percentuale rispetto al 2013 e quella nel mix elettrico di due. Tutto ciò in un contesto economico e climatico non facile, contraddistinto dall’ulteriore diminuzione del numero di addetti nel settore, dal crollo del prezzo del petrolio e dal calo dei consumi di legna per la produzione di calore in conseguenza di un inverno particolarmente mite.
È quanto spiega in dettaglio il rapporto 2015 sulle energie rinnovabili realizzato dal centro studi EurObserv’ER, che ha analizzato i dati completi nei 28 Paesi dell’Unione Europea della produzione di energia dalle diverse fonti rinnovabili.
Il rapporto puntualizza che le energie rinnovabili in Europa sembrano aver rallentato la corsa, perdendo quello slancio che aveva permesso l’ aumento del proprio contributo alla produzione di elettricità.
A livello di singoli Paesi, nove, tra cui l’ Italia, hanno già raggiunto i loro obiettivi al 2020 (Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Romania, Finlandia, Svezia e Lituania); tre Paesi hanno raggiunto il 90% del loro obiettivo (Austria, Danimarca e Lettonia); più complessa è invece la situazione per le nazioni che consumano più energia in Europa (Germania e la Francia hanno raggiunto il 76,5 e il 62,7% dei rispettivi obiettivi e il Regno Unito è al 46,4% del target).
Secondo il rapporto, il raggiungimento dell’obiettivo comunitario del 20% dipenderà da due fattori: l’evoluzione del prezzo del petrolio nel breve-medio termine e i nuovi investimenti in rinnovabili. Per quanto riguarda gli investimenti, servirebbe un colpo di coda che, per il momento, non è in vista. Nel 2014, infatti, il giro d’affari del settore (investimenti complessivi nella filiera: manufacturing, distribuzione e installazione dei prodotti, O&M) si è attestato a 143,6 miliardi di euro ed è rimasto praticamente stabile rispetto all’anno precedente (142 miliardi).
Nonostante l’aumento della produzione da rinnovabili, calano gli addetti del settore. EurObserv’ER spiega questa diminuzione con la fine degli incentivi e del sostegno legislativo alle rinnovabili in buona parte dell’Unione e con la crisi finanziaria che sta iniziando a colpire anche questo settore, cresciuto notevolmente proprio quando la crisi danneggiava ambiti industriali più tradizionali. Il settore che nel 2014 ha perso più posti di lavoro è stato il solare fotovoltaico.
Complessivamente, in Italia sono 82.500 gli addetti diretti e indiretti che lavorano nelle rinnovabili, in particolare nell’eolico (20.000) e nelle biomasse solide (19.000). Gli addetti del solare fotovoltaico non sono variati tra il 2013 e il 2014 rimanendo 10.000.
Il nostro Paese si conferma primo in Europa per numero di impiegati nel geotermico (5.500) e secondo nel biogas (5.000 impiegati: +800 rispetto al 2013), settore in cui la Germania con 48.300 impiegati e una produzione nel 2014 di 7.400 ktoe rimane comunque leader incontrastato.
Fonti: QualEnergia.it